Il Pianista

Da piccolo tutti mi dicevano che avrei potuto fare il pianista, dita lunghe e amore per la musica sembravano essere dei segni premonitori abbastanza promettenti. Invece ho deciso di studiare chitarra, strumento che comunque non ho mai imparato a suonare. Forse perchè in realtà mi sono sempre sentito un po’ anarchico, forse perchè non sopporto che mi si dica cosa potrei o non potrei fare. Più semplicemente perchè se seguo il mio istinto difficilmente sbaglio. Del resto chi mi può conoscere meglio di me stesso, che comunque mi conosco da oltre 33 anni?
Le aspettative, quelle degli altri, sono sempre state un problema, per gli altri.
Finito il liceo, che ho affrontato scientificamente seguendo l’equazione minimo sforzo = risultato accettabile, non avendo la più pallida idea di cosa fare ho tentato la strada della giurisprudenza. Ma il diritto è una cosa seria e principi come legalità, equità e uguaglianza sono troppo importanti per poter essere lasciati agli esseri umani. Poi i tribunali – non so se ne avete mai frequentato uno – sono luoghi davvero poco sicuri.
Mi sono chiesto dunque quale potesse essere l’ambiente più consono dove formarmi e la risposa mi è arrivata quasi senza doverla cercare. Non ho chiesto consiglio a nessuno, non sono abituato a farlo. Non ne ho parato con nessuno. Ho deciso una mattina di punto in bianco e lo ho comunicato ai miei solo a cose fatte. Certo per essere uno di poche parole, mi stupisco anche io, se ci ripenso, di aver voluto studiare comunicazione.
Gli anni dell’università li ricordo con piacere, un po’ meno i miei compagni di merendine che oggi comunicano tutti in qualche modo, chi inbound che outbound. Sono stati tanti, non troppi ma abbastanza, anche perchè nel frattempo non mi sono concentrato solamente sulle fotocopie dei libri, ma mi destreggiavo tra pizzerie e paninerie che frequentavo per potermi nutrire. Ho avuto le mie soddisfazioni dal mondo accademico. Prima fra tutte per importanza e ultima cronologicamente l’aver scritto la tesi in pomeriggi cinque. Pomeriggi, perchè le mattine erano impegnate a conoscere dall’interno quel mondo fatto di consegne di esecutivi con il moto taxi e riunioni con clienti estenuanti cercando di decidere se l’azzurro del rio che ricordava il profumo di mandorla amara potesse diventare qualcosa di più epidermico.
La vita di agenzia mi piaceva, mi sono sempre considerato un animale da agenzia, e poi c’è qualcosa di esotico in tutti quei termini inglesi ereditati dalla cultura yuppie degi anni ottanta. Ero un account che faceva conference call per spiegare che andavano evidenziati i selling point attraverso il posizionamento del prodotto e la comunicazione above the line e below the line che potesse garantire maggiori revenue. E ancora il www era roba da super nerd, e Facebook lo usavamo per ritrovare i compagni del’asilo e farci gli affari degli altri – esattamente come oggi, solo che eravamo molti di meno.
Poi la vita mi ha portato a oltrepassare la barriera, da fare le cose sono passato a chiederle, non mi sono reso conto di essere diventato un cliente se non dopo alcuni mesi. L’agenzia per cui lavoravo non esisteva più e io mi ero ritrovato per una fortunata serie di eventi – leggasi mix di culo e bravura – con il coltello dalla parte del manico.
Ma questa è un’altra storia, che già mi sembra di avervi confuso abbastanza.